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Condrò è un minuscolo borgo con meno di 500 abitanti, appartenente alla città Metropolitana di Messina.

Storia

La prima volta che viene citato in un documento ufficiale è il 9 settembre del 1262, quando troviamo documentato il “Casale di Condrò” alla fine della dominazione sveva in Sicilia. Il documento era un contratto di vendita tra Orlando di Paternò e la moglie cedono a Bartolotto Marescalco alcune terre, tra cui quelle di Condrò. Dall’atto notarile stesso si deduce che il Casale di Condrò non fosse un feudo vero e proprio, bensì un burgensatico, ossia un possedimento privato.

Fu il proprietario del casale, Marescalco, nel 1282 a guidare la ribellione della zona contro gli angioini, per cui Pietro d’Aragona lo ricompensò con il titolo di Barone di Furnari e Protonotaro.

Con il passare dei secoli il possedimento passò agli Scalisi, a Nicolò Castagna finchè nel 1421 Alfonso d’Aragona decide di ricomprenderlo tra i territori feudali, concendendolo a Giovanni Bonfiglio e alla sua discendenza. Fu questa famiglia a governare il centro per tantissimo tempo.

A metà del Cinquecento la zona della piana di Milazzo era purtroppo costantemente sottoposta ad incursioni moresche. tra cui quella di Ariadeno Barbarossa nel 1544, che porto alla formazione nel 1554 di milizie apposite impegnate nella difesa dai pirati. Tra queste, il contributo di Condrò.

Francesco Bonfiglio, proprietario dal 1609, venne insignito del titolo di Principe da Filippo IV nel 1637. Quando Donna Felicia, nel 1747, sposò il Principe di Resuttano Federico Napoli, Condrò entrò a far parte dei possedimenti dei Napoli fino al 1812.

Folklore

 

Il santo patrono di Condrò è San Vito Martire, il quale viene festeggiato ogni seconda domenica di luglio con una processione con cui viene fatto “ballare” tra fiori rossi e grappoli d’uva. La storia infatti narra che San Vito venne costretto dal padre a ballare mentre chiuso in una stanza con donne che avrebbero dovuto insidiarlo. Il ragazzo riempì le scarpe di pietre e chiodi offrendo la sua sofferenza a Dio. Con la stancante processione, si vuole quindi rendere grazie al santo ripetendone il sacrificio, finché alla fine della della processione il parroco benedice la reliquia e da il via ai canti.

 

 

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