La denominazione Etna DOC è caratterizzata da quattro vitigni autoctoni principali: il nerello Mascalese e nerello cappuccio per i vini rossi, rosati e spumanti, il carricante e il catarratto, per i vini bianchi.
Il nerello mascalese è originario della piana di Mascali, in provincia di Catania, da cui deriva il suo nome siciliano niuriddu mascalisi o semplicemente niuriddu. Rappresenta il 65% del territorio vulcanico etneo e si attesta per essere la seconda varietà più coltivata dopo il Nero d’Avola. Paragonato spesso al nebbiolo per la sua maturazione tardiva nella seconda decade di ottobre, regala vini di grande acidità, elevata gradazione alcolica (13-14°), destinati ad un lungo invecchiamento. Le sue uve costituiscono la base all’80% per la produzione dell’Etna Rosso DOC.
Il nerello cappuccio detto in siciliano niuriddu ammantiddatu o solo mantiddatu deve il suo nome al portamento delle foglie della pianta che proteggono i grappoli come se fossero un cappuccio. Nonostante appartenga alla medesima varietà, possiede delle caratteristiche diverse rispetto al nerello mascalese: grado zuccherino meno elevato e un contenuto di aromi e polifenoli tale da considerarlo l’ideale complemento del primo per la produzione di Etna Rosso DOC.
Il carricante è un antico vitigno coltivato alle pendici dell’Etna. Il suo nome deriva dall’espressione siciliana u carricanti che sottolinea l’abbondante produzione delle sue piante, capaci di riempire i carri d’uva. Coltivato principalmente nel versante est dell’Etna, dà vini freschi e secchi caratterizzati da una vivace acidità e sentori agrumati marcati. Le uve carricante, generalmente, vengono vinificate in purezza costituendo al 100% l’Etna Bianco DOC.
Il catarratto, sebbene sia una varietà principalmente diffusa nelle zone del palermitano e agrigentino, forma parte anche dei vitigni etnei. Le sue due varianti – catarratto comune e catarratto lucido – differiscono per la presenza di pruina (sostanza di consistenza cerosa che protegge dai raggi UV la pianta e ne impedisce l’eccessiva disidratazione) sulla superficie dell’acino: mentre nel catarratto comune essa è presente, il catarratto bianco lucido ne è privo. Le uve da catarratto danno vini interessanti, dotati di buona acidità e nota alcolica contenuta, con aromi di biancospino e frutta a polpa bianca. Infine contribuiscono per un massimo del 40% alla composizione dell’Etna Bianco DOC.
Infine, ultimo vitigno a bacca bianca molto antico che sta pian piano scomparendo è il minnella, conosciuto in dialetto come minnedda o minnedda janca per indicare la forma oblunga dell’acino simile alla mammella di una donna dal colore bianco. Si coltiva nel versante est, in particolare nel territorio di Viagrande a circa 450-500 metri sopra il livello del mare. Matura tra la seconda e la terza decade di settembre, quindi in anticipo rispetto agli altri vitigni autoctoni etnei che hanno una maturazione tardiva. Solitamente viene vinificata in blend insieme al catarratto o all’inzolia.
Possiamo ben affermare quindi come la Sicilia negli anni si sia fortemente battuta per la rivalutazione e la riscoperta degli antichi vitigni autoctoni. La chiave per aprirsi al futuro sta tutta nella grande voglia di scavare nel passato per riportare alla luce varietà dimenticate, ricordando sempre la propria identità territoriale. È così che il vasto mondo enologico siciliano si arricchisce ulteriormente, offrendo nuovi stimoli per l’enoturismo e interessanti degustazioni.