80 mila metri quadri di cemento bianco e detriti raccontano la storia di una città scomparsa dalle cartine geografiche: il Cretto di Burri (o di Gibellina).
Il Cretto di Gibellina, il cui nome originale è Grande Cretto, è un’opera di land art realizzata da Alberto Burri tra Trapani e Palermo, esattamente dove un tempo sorgeva la città di Gibellina vecchia.
Il centro storico di Gibellina venne distrutto da un terremoto il 15 gennaio 1968. Provocò 1150 vittime, 98.000 senzatetto e sei paesi distrutti nella valle del Belice, in provincia di Trapani.
Negli anni successivi la città di Nuova Gibellina fu ricostruita a 20 km dalle macerie e diversi furono gli artisti e gli architetti che contribuirono alle iniziative di ricostruzione. Tra questi, appunto, Alberto Burri.
Burri raccontò che, insieme all’architetto Zanmatti, andò a visitare il posto e vide che il nuovo paese era quasi ultimato e pieno di opere. Pensò quindi che lì per lui non ci fosse più spazio e decise di andare a visitare il luogo dove sorgeva il vecchio paese ormai distrutto.
Ne rimase talmente colpito che decise di voler fare qualcosa: compattare le macerie e costruire un immenso cretto bianco. Sicuramente questo avrebbe mantenuto perenne nel tempo il ricordo del triste avvenimento.
La costruzione del Cretto di Burri
Già negli anni Settanta, l’artista aveva realizzato alcune sue opere denominate Cretti alte 5 metri, conservate al museo di Los Angeles e in quello di Capodimonte. I cretti sono superfici di cellotex con l’aggiunta di colle, terra e impasto bianco e ricordano le fessurazioni delle terre argillose.
Alla vista delle macerie di Gibellina, a Burri venne quindi l’idea di riprodurre uno dei suoi Cretti, questa volta su scala ambientale.
Il progetto era quello di riportare non solo la conformazione delle strade, ma anche la forma dell’abitato e dei rilievi, come un sudario sulle forme del defunto.
I lavori, avviati nel 1985 e interrotti nel 1989, coprirono circa 60 mila metri quadri a fronte degli 80 mila previsti trent’anni dopo l’inizio della sua costruzione, nel maggio del 2015, è stata portata a termine l’opera così come voluta da Burri, scomparso nel febbraio del ‘95.
Camminando lungo i tagli, profondi poco più di un metro e mezzo, si ha l’impressione di trovarsi in una città alla quale hanno livellato l’altezza degli edifici, ora solo enormi blocchi di cemento più bassi dello sguardo di un uomo.

Il Museo del Cretto
Completata definitivamente l’opera, si è avvertita la forte necessità di dare uno strumento informativo ai visitatori del Cretto di Burri.
L’intento era quello di costruire un’identità comune, tanto tra i residenti che degli italiani in generale, attraverso la realizzazione di un monumento dal valore culturale e sociale. Con gli stessi ideali, nel maggio 2019, ha aperto il Museo del Grande Cretto di Gibellina.
Il Cretto è un luogo di narrazione e conoscenza dove c’era vita, oggi c’è conservazione di memoria: prima era tabernacolo di morte, oggi sacrario che genera vita.
Tanino Bonifacio, Assessore alla Cultura
Il museo, situato nella vecchia Chiesa di Santa Caterina, a 300 metri di distanza dal cretto e unico edificio superstite del terremoto, nasce dall’esigenza di raccontare le origini dell’opera di Burri, la sua progettazione e realizzazione. Il museo, simbolicamente, recupera, conserva e comunica la memoria di Gibellina.
